Essere e divenire

La prima effettiva costituzione della realtà siamo noi stessi.

E quando la realtà ci viene in-contro, generando attrito, non è l’io che si scontra, poiché già si costituisce in essa, è la realtà “io”, quindi, diciamolo meglio, è la realtà interna che si incontra con la realtà esterna, non in maniera sostanzialmente diversa rispetto a uno scoglio che incontra le onde del mare o una foglia sbalzata via dal vento.

Per quanto in linea teorica quanto detto sembra filare serenamente, l’opposizione dell’io – realtà interna – con la realtà esterna genera il fraintendimento che la realtà, nella sua sostanziale oggettività tangibile del divenire, stia soltanto all’esterno, mentre noi (io) siamo ciò a cui la realtà si ri-ferisce e in quanto tali, – pur nel cambiamento che ci riconosciamo: crescita, maturazione, evoluzione, esperienza, prospettiva, comportamento, carattere, visione, idee ecc. – siamo – sempre – noi stessi. E questo ci pare perché non ci riferiamo a nient’altro, rivolgendosi internamente, e chi riconosciamo essere noi… Oppure siamo noi che riconosciamo… Ma chi? Ma che?

Operiamo una separazione definita dalla realtà e ciò che crediamo essere noi stessi, ciò che identifichiamo in noi (io), lo confondiamo col soggetto – che siamo – mentre si tratta, ancora, dell’oggetto, parte di quella realtà, interna, ma che agisce parimenti a quella esterna.

Ogni momento della nostra esistenza si comporta come lo spazio-tempo, esso è influenzato, mosso, mutato come avviene per il vento, il giorno che si fa notte, la pianta che secca, la pioggia che cade e tutto il resto del divenire nel mondo. I nostri stati d’animo, sentimenti, ricordi, emozioni, pensieri, sogni, convinzioni, bisogni ecc., si comportano come si comporta la realtà, ovvero si formano, deformano, appaino, svaniscono nella continua relazione tra realtà; e che la realtà sia esterna oppure interna, è solo un modo per identificare, effettivamente, un luogo.

Ciò che ritroviamo, ogni volta, in noi stessi, è un riferimento che si identifica soltanto in un luogo che ci pare identificativo a sua volta della dimensione appartenente a sé stessa, ovvero all’io, e quindi, crediamo, al soggetto. Ma è proprio lì, ogni volta che troviamo – diventiamo – noi stessi, che inizia la realtà, la quale, essa sì, ci prescinde.

E dunque cosa è riconducibile al soggetto?

Potremmo azzardare: l’essere. Che si presenta all’attivazione della coscienza, la quale, nell’osservazione attiva, produce narrazioni che si incarnano immediatamente nel divenire: immagini in movimento che ne sanciscono l’effettualità.

Ma la presenza dell’essere non ha nulla a che fare con ciò che siamo – diventati e diventiamo – ogni volta.

Altresì qualsiasi profondità recondita, nel tempo e nello spazio, per quanto radicata, solida e ferma, produrrà soltanto l’illusione dell’essere nel divenire ciò che siamo. Ciò avviene perché tali proprietà tendono a condurci verso un sentimento di assoluto provocato da ciò che crediamo “essere”, in quanto fisso, immutabile, mondato dal divenire, ma esse non sono altro che il risultato di un processo di sedimentazione nel tempo e nello spazio del divenire stesso e che ha reso un pensiero, un’idea, un’immagine, un sogno, un ricordo così immobili da sembrarci, appunto, essere; e seppure ciò lo abbiamo imparato a riconoscere e poi anche ad avvertire, continuiamo a confidare incoscientemente che da qualche parte possa comunque trovarsi un luogo d’incontro tra l’essere e il divenire, fosse anche soltanto nel momento esatto in cui la notte si fa giorno e il giorno si fa notte.